Immobiliare La Tour | Relazione andamento del mercato immobiliare osservatorio F.I.A.I.P. 2018/2019

Infine, dopo dieci anni durante i quali abbiamo prodotto relazioni annuali sull’andamento del mercato immobiliare partendo dagli unici presupposti che conoscevamo, quelli riconducibili agli anni dal dopo guerra sino alla crisi del 2011, abbiamo preso coscienza che questa crisi generale che ha interessato valori non soltanto economici ma anche politici, sociali e culturali, ha sostanzialmente mutato tutti i parametri che qualificano il “mercato immobiliare”. Pensiamo sia giunto il momento di affermare che quando oggi si discerne del prodotto “mercato immobiliare” ci si debba pertanto necessariamente riferire a fattori nuovi e differenti dai precedenti.
A partire dagli anni del dopo guerra, oltre all’esigenza di ricostruzione del patrimonio immobiliare andato distrutto, la forte espansione industriale, commerciale ed economica determinò un sostanziale incremento demografico e una grande richiesta di nuove abitazioni, in particolare nelle città. Il rapporto redditi / costo della vita – fare una vacanza – pagare le tasse per usufruire dei servizi della PA, favoriva inoltre i risparmiatori e anche ciò, ovviamente, contribuì significativamente allo sviluppo esponenziale dell’industria edilizia e del mercato immobiliare. La maggior parte del patrimonio edilizio nazionale (e ovviamente anche regionale) è stato infatti edificato nel periodo tra il 1960 e il 1980; in quel tempo si parlava molto di “speculazione edilizia”, un termine oramai obsoleto del quale non si fa più uso (per certi aspetti fortunatamente, diciamo noi) ma che ha lasciato un segno ancora indelebile nel nostro ambiente, anche in diverse località della regione. Ad onor del vero rimarchiamo che in quegli anni la politica si interessava molto alla casa e si adoperava assai intorno ad essa, tant’è che la fiscalità incideva molto relativamente sul comparto e tra gli operatori economici italiani in grado di accumulare maggiori ricchezze si annoveravano i costruttori di immobili.
Non a caso dunque noi italiani diventammo uno dei popoli più sensibili al possesso di una casa, sino a considerare “il mattone” il “bene rifugio” per eccellenza ed a giungere primatisti in Europa tra le famiglie proprietarie della casa di abitazione (ancora nel 2017 l’Istat rilevava che “l’80% delle famiglie italiane vive in una casa di proprietà”) ma molto spesso anche di una “seconda casa”. Cavalcando questa domanda di beni “rifugio” in alcune zone furono costruite, con il benestare dei Comuni, seconde case (non sempre di qualità) intorno al nulla, oppure furono cementificati, con improbabili formicai dalle architetture oggi inguardabili, interi crinali di montagne nei pressi di impianti di risalita.
Certo, anche il periodo di cui si sta parlando conobbe oscillazioni sul numero di compravendite e, molto relativamente, sui valori, ma erano fenomeni passeggeri spesso derivanti da eventi “lontani” (ad esempio la crisi del petrolio del ’79) che si risolvevano nell’arco di pochi mesi. Quando il Professor Monti diceva che vedeva la “luce in fondo al tunnel” molti italiani, pure operatori del settore immobiliare, gli credettero pensando che fosse una crisi simile alle precedenti (e non l’inizio di un cambiamento epocale come ben potevano sapere i politici e gli economisti), finendo per perdere ancora di più di quanto avrebbero perso vendendo o cessando la propria attività all’alba dei primi ribassi.
Oggi possiamo infine dire che lo scenario è completamente mutato, anche se molti non ne hanno ancora preso del tutto coscienza e vorrebbero continuare a vivere nel sistema dei “bei tempi” passati: il nostro paese sconta primati in molte classifiche su scala internazionale relativamente a parametri che incidono pesantemente in modo negativo sull’economia reale (della quale è parte il mercato immobiliare) e sulla qualità della vita di molti italiani (debito pubblico, pressione fiscale e relativa evasione, costo del lavoro e cuneo fiscale, burocrazia, corruzione, produzione di energia, reddito medio, decrescita demografica, disoccupazione giovanile, ecc. ecc.).

La grande maggioranza degli italiani non ha più capacità di risparmio e questo vale in particolare per i giovani che, avendo anche difficoltà a trovare lavori stabili, quasi non fanno più figli. A quanto pare siamo tra i popoli che si riproducono meno su scala europea e mondiale; stante l’andamento attuale tra un secolo la popolazione italiana potrebbe essere ridotta a circa un terzo di quella attuale (quante case potrebbero rimanere vuote!).
Sul fronte della domanda si scontano dunque molti meno “investitori nel mattone” e anche molte meno nuove famiglie. Tra queste ultime quasi tutte quelle che riescono ad acquistare lo stanno facendo perché hanno capacità di reddito (non di risparmio), e pertanto acquistano usufruendo di mutui bancari che finanziano sino all’80 – 90% del prezzo di acquisto. In questi casi a nostro avviso è forse improprio parlare di “casa di proprietà” perché nella pratica tale non sarà sino a quando, dopo 20 o 30 anni, non sarà pagato tutto il mutuo.
La statistica ci dice che il numero di compravendite complessivo di immobili residenziali nell’ultimo triennio in Italia si è oramai attestato intorno alle 570 mila unità, all’incirca la stessa quantità di immobili che si trasferivano 20 anni orsono e ca. il 35% in meno di quelli che si compravendevano a fine anni ‘2000.
Va rimarcato che da noi, come in altre regioni d’Italia a vocazione turistica ove la vendita a investitori stranieri è un fenomeno consolidato, il potenziale di richiesta da parte di queste persone (considerata la bellezza del nostro territorio e l’ottima qualità degli impianti di risalita) potrebbe essere molto maggiore senonché questi investitori, in quanto tali, valutano attentamente non soltanto gli immobili e l’ambiente naturale ma anche l’offerta turistica del contesto e l’accessibilità dei luoghi rispetto agli aeroporti più prossimi (immaginate se avessimo una linea ferroviaria moderna, rapida ed efficiente agevolmente collegata a Malpensa e Caselle anziché soltanto l’autostrada più cara d’Europa).
Sul fronte dell’offerta:
Ora è ben chiaro a tutti che, fatte salve alcune località prestigiose dove l’economia ha resistito e ancora resiste per ragioni “ambientali”, l’edilizia come la conoscevamo “prima” si è praticamente estinta. I presupposti economici per costruire nuovi edifici non vi sono più: i costi per realizzare immobili ex-novo (acquisto delle aree, oneri della burocrazia e tempistiche, costo dei materiali e della mano d’opera, fiscalità) con le attuali tecnologie anche sulla sicurezza (sismica) e sull’economia di esercizio e sostenibilità ambientale (energia), molto spesso sono più elevati del valore economico finale del bene (sul fronte prezzi si è perso tra il 30 e il 50% rispetto ai picchi del 2007). Fatte salve alcune ristrutturazioni (molto giustamente incentivate fiscalmente) e ben poche nuove costruzioni realizzate nell’ultimo quadriennio, lo stock immobiliare sta invecchiando rapidamente ed è oggi rappresentato in maggioranza da immobili che hanno tra i 40 e i 60 anni di età, molti dei quali anche edificati nel periodo più “speculativo” e dunque di pessima qualità, spesso anche (per quanto riguarda le seconde case) in località rimaste, per quanto riguarda l’offerta turistica, tali e quali a come erano 50 anni orsono se non peggio, poiché se non altro a quei tempi vi si contava qualche negozio.
Questo anche per affermare che, se per quanto riguarda il “mercato di prima” l’ambiente e il contesto nel quale è ubicato l’immobile contavano relativamente, oggi un “investimento” immobiliare può in qualche modo essere definito tale soltanto se è collocato in un contesto ambientale e politico sano, in grado di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti della società offrendo servizi nuovi e alternativi adeguati alle persone del tempo attuale. Pensiamo ai principali Comuni della media Valle d’Aosta, ubicati in contesti ambientali apprezzabili anche dal punto di vista climatico ma rimasti ancorati per scelte politiche a realtà economiche superate da decenni (una Casa da Gioco) e ora, anche per quanto riguarda il mercato immobiliare, fortemente penalizzati da queste scelte.

Il tema vale per tutto: un ambiente sociale sano, vitale e propositivo in grado di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti produrrà un mercato immobiliare vivace e positivo. Il nostro ambiente naturale non è meno bello (anzi…) di quello dell’Alta Savoia o del Vallese, luoghi ove gli immobili hanno valore, ma è imperativo guardare ora anche alle infrastrutture, ai trasporti pubblici, alla disponibilità e alla qualità dei servizi offerti ai turisti e ai cittadini.

Il mercato immobiliare non tornerà quello di prima, così come pare improbabile che tornino a prosperare i Casinò. La sfida del futuro per la rivalutazione e la ripresa del nostro mercato immobiliare regionale non passa soltanto dalla ristrutturazione e dall’ammodernamento degli edifici ma è anche e soprattutto legata alla capacità che avrà la nostra comunità di rinnovarsi dimenticando le vecchie prospettive (se non ricordandole per fare tesoro degli errori) e rapidamente adeguandosi al nuovo magari anche pensando in prospettiva remota riuscendo a precorrere gli orientamenti e le tendenze dell’economia e dei mercati turistici che verranno.

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